Il Giornale di Sicilia

2004

LA SICILIA secondo Velasco

Simonetta Trovato

PALERMO.  La cosa che meraviglia, al primo sguardo, è scoprire che un cuore «freddo» possa comprendere tanto a fondo le infinite sfumature che può offrire la sabbia. Quella gialla, intensa, viva delle coste che guardano l'Africa; la sabbia ardente che arriva a lambire le case intonacate di bianco, i muri spesso non finiti, le terrazze che coprono quei cubi cresciuti senza architetto. Le coste del Sud, una Sicilia immensa e ortodossa che cambia con il mutare del vento, che ti avvolge come una coperta calda da cui è impossibile venir fuori: la stessa che ha accolto il «freddo» Velasco, trasformandolo in uno del posto. Scorrendo le tele di ExtraMoenia ti accorgi che quelle pietre, quei muri parlano, raccontano leggende bianche e nere, fumanti e ghiacciate: sono le città del Sud, e non sono mai leggere. Cresciute l'una sull'altra
come facce di un cubo, scappano dalle metropoli per regalarsi alla sabbia: ti immagini Velasco correre su quella rena, lasciare orme giganti, tuffarsi nella spuma. Raccogliere brandelli di paesaggio e volgerli alla sua maniera, in spatolate nervose, raggrumate, sulle tele immense, dove l'unico limite è la liberta. Non ci sono figure umane, mai: i muri sbrecciati, i cubi bianchi, la rena raccontano più di mille facce.
ExtraMoenia - che da oggi al 21 agosto si può visitare a Palazzo Belmonte
Riso, ogni giorno dalle 12 alle 20, nel fine settimana fino alle 24, nata dalla collaborazione tra assessorato regionale ai Beni culturali,  Sovrintendenza
 e Italian Factory - è composta da diciotto opere e venti cani, che corrono sulle musiche di Marco Betta che per la mostra ha composto «Branco». Una muta di bestie in ferro e cemento - i cani del mare, dice Velasco, quelli che abbaiano nelle campagne di notte. - ti osserva mentre entri nel palazzo: se riesci a superarli (virtualmente) puoi accedere al resto. Le grandi tele occupano le sale, si impongono, come sovrani toccati dalla grazia della luce: e ti immergi nei sentieri di case aggrappate come acini, brulicanti di mura, di occhi bui di finestre; un unico viaggio sentimentale che Velasco rompe con improvvise alzate di colore: (Ibla), drappi sanguinari come (Due città), serbatoi blu (Città nera), pubblicità, ritagli, intonaco, musi bianchi.
La mostra apre per la prima volta al pubblico il secondo piano di Palazzo
Belmonte Riso: qui i muri sono lasciati a vista, scrostati, acerbi. Le tele li continuano, li servono come paggetti, accostano la cattiveria del suolo alla dolcezza di Saline e Serre, carezze delicate, mai contropelo, come sul corpo di una bella donna. 
Velasco, figlio di Giancarlo Vitali, inizia a lavorare negli anni '70 da autodidatta. Scoperto da Giovanni Testori, guadagna l'attenzione dei critici con il suo lavoro sulla tragedia della Valtellina, nel '91 viene riconosciuto il suo valore di ritrattista, alla fine del secolo è tra i quattro artisti di Officina Milanese. Va avanti per temi, Il Dio di Roserio, Isolitudine (presentata da Ferdinando Scianna), Le città
Dalla mostra mancano alcune tele - Scoglitti, Donnalucata, Scicli, Comiso
- in cui la storia sale in collina per poi riversarsi sul mare. Ma il racconto corre lo stesso sulla scia delle città: Velasco penetra l'essenza del placido Ragusano in maniera diversa dall'elegante Piero Guccione o da Franco Polizzi. Non c'è felicità, grazia, Velasco osserva i luoghi come se usasse una lente di ingradimento e scoprisse che quello che c'è sotto non gli piace per nulla. Cerca altro, quindi, vuole aria, polvere, sabbia con cui addobbare a festa le sue città, restituite ad una terra che le reclama con rabbia. Straniero. Vela-sco è uno straniero innamorato, che non ha bisogno di guida perché gli bastano gli occhi: salite le scale che portano al secondo piano, attraversate le sale e voltatevi verso l'entrata, vedrete
Randello, sabbia, spuma, poco altro, una sorsata di bello, ti vien voglia di prendere la rincorsa e tuffarti, annegare felici.
Velasco racconta distese di case arroccate che non sono contente di sè, ma vivono le une sulle altre come in attesa che qualcuno le scosti, una casbah impazzita e violentemente bella. Poi lasci le mura, le case e voli oltre, ti nascondi sotto la plastica delle Serre, che hanno il sapore di terra, acqua, pioggia. Buchi neri qua e là raccontano la forza della grandine, l'ocra, il rosso brunito, la ruggine ti ricordano che l'Africa è lì a due passi.