Conversazione con Danilo Eccher
D.E. Il secolo che si è appena chiuso è forse stato il più terribile per la pratica pittorica: minacciato dalle nuove tecnologie, chiamato a misurarsi con un nuovo concetto di immagine, accerchiato da sguardi che mai sono stati così allenati, curiosi, informati ma anche così smaliziati, onnivori, violenti. La morte della pittura ha compiuto il secolo eppure, a ben guardare, tale linguaggio non è completamente scomparso. La pittura, apparentemente sconfitta, ha avviato una sottile guerriglia, una lotta silenziosa e serpeggiante, appare fulminea con qualche immagine sulla scena artistica e poi scompare, riassorbita dalla giungla dei linguaggi. Certo, oggi l’arte ha imparato a mimetizzarsi, a confondersi, a usare tutti i linguaggi, la stessa pittura è profondamente mutata, sconvolgendo la propria grammatica, manipolando il proprio alfabeto, incidendo persino nel cuore del proprio significato. Chi pratica la pittura come te esprime il coraggio o l’incoscienza di chi accetta la sfida del proprio tempo restando sul proprio territorio aspettando ma non nell’immobilità. Anzi, proprio questa è la grande sfida: accettare l’attesa praticando il movimento e la corsa. Nessuna compiacenza nostalgica dunque e neppure un attardarsi allo specchio, nessuna paura della competizione e nemmeno il piacere narcisistico di un esibito virtuosismo. Chi pratica la pittura sa però di non usare uno dei molteplici linguaggi dell’arte, sa di camminare con i morti e non deve avere paura. (Cos’è per te la pittura? )
E’ un linguaggio che nel suo divenire, intendo nell’atto del dipingere, deve tener conto delle mutazioni e delle cancellazioni ed è un processo che lo lega indissolubilmente ad un possibile fallimento . Pensare e progettare un quadro è una pratica di autocontrollo sempre destinata all’insuccesso . Razionalmente è un linguaggio indecifrabile perché si genera in una zona buia che sta fra il pensiero che precede l’immagine dipinta e la stesura del colore sulla tela, fra il pensiero che l’ha immaginata e il segno lasciato sulla tela. Per contro, se l’esercizio della pittura fosse finalizzato esclusivamente al suo valore iconografico, come una rappresentazione di una realtà nella quale riconoscersi, allora avrebbe soltanto un fine decorativo. E’ incredibile, ma mai come oggi si può comprendere come la pittura sia un atteggiamento mentale. Questo è il valore che mi interessa. Nessuna immagine neppure la più violenta e sconvolgente rappresentata attraverso la pittura potrà mai più competere con la forza dirompente del video o della fotografia o di azioni che replicano in diretta i nostri stati emotivi più estremi. Combattere su questo terreno è una sfida perdente e anacronistica perché per quanto si possa credere, alla pittura manca l’occhio analitico e chirurgico sulla realtà, quella lente tecnologica che le permette di mettere a fuoco le immagini e i movimenti del quotidiano.Però non riesco ad immaginare che il quadro che sto dipingendo vada verso la distruzione, sarebbe una metafora esistenzialista troppo semplice e consunta, lo sento affiorare continuamente e mi costringe a reagire per salvarlo e nemmeno riesco a sopportare l’idea della sua totale inutilità anche se sono cosciente di questo. E’ come se la pittura fosse destinata a scomparire già fra le mani del pittore, ancor prima che nasca e prima ancora di appartenere alla storia. Vedo molta pittura temere questo giudizio e insistere nel confronto con il nostro tempo saturo di certezze e immagini definitive. La pittura potrebbe affermarsi come l’arte che racconta il dubbio, lo squilibrio, o il coraggio di ricostruire sopra qualcosa di profondamente sbagliato, come gli errori del passato, e cancellarli con un un gesto semplice e primitivo, o con un colore al contempo umile e potente. E’ anche la possibilità di occupare uno spazio vuoto, senza sicurezze, non un campo di battaglia per aggiudicarsi il primato dell’arte, ma una zona di confine che potrebbe anche restare deserta. Ed è un’ analisi che rende più cosciente e coraggioso il pittore contemporaneo, anche se sembrerebbe negargli qualsiasi opportunità.
D.E. Il primo aspetto che emerge dai tuoi lavori è il tramonto sereno, distaccato, dolce di ogni funzione mimetica e descrittiva dall’orizzonte narrativo, non si scorgono strappi violenti, non affiorano conflitti strazianti, non c’è traccia di brandelli di lotta, semplicemente, l’immagine svapora nel suo ricordo. Eppure, la tua pittura può rinunciare alla figura, alla sua immagine rassicurante, alla sua familiarità ma non abbandona il piacere della narrazione, non si separa dalla pratica del racconto. La manipolazione del linguaggio pittorico, che nel tuo caso avviene senza il contributo del gesto o del raffreddamento concettuale ma anche senza la rinuncia allo spazio scenico del quadro, si compie all’interno di una costruzione letteraria che rinuncia al suggerimento mimetico per coglierne il sussurro più intimo, per cogliere l’anima stessa dell’immagine. E’ la sua evocazione, il suo lato poetico, visionario, “romantico”, il soffio del suo incanto che rappresenta il soggetto della tua arte, è il lento affiorare dell’emozione che allunga la propria ombra sull’immagine e ne accarezza l’inutilità. Il racconto si fa dunque più mentale, rarefatto, etereo, rinuncia all’ingombrante presenza della figura per affidarsi alla più incerta solitudine. (Qual è il tuo rapporto con la figura? )
Josè Ortega y Gasset notava, a proposito dei quadri di Velasquez, che la sensazione che s’avverte dinanzi ai suoi dipinti, è quella che il pittore abbia da poco abbandonato il lavoro e improvvisamente appoggiato pennello e tavolozza e se ne fosse allontanato, ma la sua presenza è ancora nell’aria e lui potrebbe tornare da un momento all’altro e proseguire . Ecco che cos’è la pittura, è il momento dell’attesa e della meraviglia, è il momento che qualcuno faccia un passo avanti per osservare e spiegare il motivo di una pennellata lasciata interrotta . E’ la sensazione che lo spazio del quadro sta per essere abbandonato e abitato da nuovi visitatori, in grado di interpretare una loro realtà o di scontrarsi finalmente con i propri dubbi. Il racconto che genera il quadro è per me come un incipit, necessario per reciderne il più velocemente possibile la trama, oppure abbandonarlo a se stesso come se fosse una storia non mia . Lo sviluppo dell’opera è una mimesi ritmica degli stati d’animo che l’osservazione di un’immagine mi provoca . E’ nello spazio frugato dalla memoria che trovo dei segnali narrativi, ma non cerco di rappresentare il ricordo , piuttosto ne inseguo gli umori fino al punto in cui l’immagine si dilegua. Le mie figure sono spesso un miscuglio di realtà e di sogno, oppure dei sogni che ripercorrono ossessivamente la realtà . Il mio intento è quello di ricostruire una realtà onirica che si modella sopra la realtà oggettiva e ne sposta il significato fino a farla essere solo pittura, oppure, ancor meglio, come dici tu, fino ad accarezzare l’inutilità. Ed è una scelta che assegna al quadro un ruolo realmente futile e ne sbeffeggia i significati.
D.E. Sarebbe stato facile accompagnare in lontananza l’immagine sottraendole lentamente materia e colore, una sottile asfissia che rende la figura sempre più diafana e vaporosa fino a svelarne la sua inconsistenza. Sarebbe stato facile, con un sofisticato virtuosismo pittorico, azzerare la figura reclamando una sorta di pauperismo linguistico che approdi e mostri la sofferenza del mutismo. Invece, tu non hai mai voluto rinunciare alla carnosità della materia pittorica e alla sua esuberanza coloristica, non hai saputo resistere ai suoi richiami, hai dunque abbandonato una via già tracciata per non tradire la tua pittura. L’hai caricata nello zaino e hai intrapreso un nuovo percorso, una sfida più ardua e complessa, una ricerca più oscura ed ignota. Come una rugosa corteccia, la tua materia pittorica ha mantenuto la ruvida fisicità di un prodotto denso, magmatico, invadente; allo stesso modo, l’impasto cromatico, pur avvolto nella segnata pelle della pittura, ha conservato lucentezze e bagliori, tonalità e contrasti di una tavolozza colta e ben distribuita. E’ coraggioso e scaltro quell’artista che sa variare la struttura letteraria del proprio racconto conservando e tutelando le invenzioni sintattiche del proprio linguaggio. (Che ruolo attribuisci alla materia pittorica e al colore nel tuo lavoro?)
Per anni mi sono addestrato alla pittura forse per il puro desiderio di scoprire il valore della materia. Penso a quegli anni con un po’ di vergogna per la mia totale inconsapevolezza dello sguardo, ma la fascinazione per il colore era un rapimento. Avrei anche potuto restare inconsapevole per molto dinanzi a quell’attrazione, e continuare a dipingere come un gentiluomo inglese specchi d’acqua e montagne su piccole tavolette di legno . La preparazione dei colori poteva anche durare un intero mattino e fu in quei momenti che , inconsapevolmente il pensiero sulla pittura si dilatava e occupava spazi sempre più importanti. Ora lo potrei immaginare come un esercizio di apprendistato all’osservazione e all’incanto, ripetuto per giorni a stemperare colori senza nemmeno stendere una pennellata per favorire la germinazione, dal pigmento all’idea, come se la pittura nascesse dalla stessa sostanza che la genera. Un’ applicazione che fa comprendere davvero quanto la pittura sia un fatto mentale e diventa fisico solo per conseguenza o per necessità o forse e soprattutto per fermare quel processo ed avviarne uno successivo. Spesso nell’invenzione del quadro la materia ubbidisce invece ad un automatismo e questo può portare ad un risultato sorprendente oltre che ad alimentare l’aspetto misterioso dell’immagine, ma a volte può risultare posticcia e necessità l’asportazione. Le tracce del togliere sono un breve accenno all’asfissia a cui accennavi infatti rappresentano un passo verso il vuoto e la difficoltà sta nel “trucco” di sapersi fermarsi un attimo prima, è risaputo.
D.E. Un ruolo particolare nella tua arte è riservato allo spazio, sia quello pittorico, con i suoi ritmi di dissolvenze, sia quello più fisico della scultura e dell’installazione. Nell’ambito del quadro tale dinamica si evidenzia nell’intreccio fra pasta materica e pigmento, in quelle assenze, quei vuoti che il colore attenua o esalta nella distribuzione di pesi e misure. Ma è soprattutto nell’ambito installativo e scultoreo che l’indagine spaziale mostra tutto il suo peso concettuale e la sua robusta articolazione formale. In questo contesto, malgrado qualche civetteria teatrale, emerge una sorprendente energia compositiva che aggredisce la figura scultorea, scarnificandone il corpo, piegandola e deformandola alle proprie esigenze, distribuendola nello spazio con elegante maestria. Si coglie allora, con evidente trasparenza, il passo installativo che guida e ordina l’agire scultoreo, un passo consapevole, misurato, colto, che modella l’ambiente fino a renderlo soggetto dell’opera. Non più semplice luogo ospitante l’opera, non più palcoscenico per una recitazione altrui, lo spazio riveste un sempre più consapevole ruolo recitante, accompagnando le singole parti dell’opera, i frammenti scultorei, allo loro avventura espressiva. Il rapporto fra ambiente e opera si modifica così da luogo passivo in cui si compie l’atto artistico, in uno spazio dinamico in cui ogni gesto, ogni sguardo, ogni suono è parte integrante dell’opera. (Come definiresti il rapporto fra spazialità e opera nel tuo lavoro? )
In passato ho dedicato alcuni quadri allo studio della composizione utilizzando come pretesto tematico elementi riconoscibili nella realtà. Aggiungerei che sommato alla ricerca dei materiali, l’interesse per l’equilibrio compositivo, continua ad essere la mia ossessione e ha radici lontane, se vale il ricordo di inutili giochi ripetuti muovendo e ricollocando gli oggetti su una tavola apparecchiata, o riprovando infinite repliche di associazioni cromatiche sulle tavolozze. Questo studio però non ha mai portato ad un risultato esclusivamente formale inchiodando la pittura e ora sento di dover aggiungere a questi elementi un coinvolgimento dello spazio che renda ancora più complessa la composizione sul piano progettuale, ma più semplice su quello visivo ed più efficace su quello espressivo. Anche Calvino parla di “immagini mentali” e per esortare all’ addestramento ad esse parla di “pedagogia dell’immaginazione”, fino a suggerire di tener conto di infiniti elementi, anche frammentari che concorrono alla stratificazione di un’idea letteraria, proprio come gli strati di colore spalmati sulla tela. Per me la verità e la forza comunicativa di un opera si esemplifica nella capacità dell’artista di ricostruire ed inventare un ritmo che metta in relazione gli elementi che la compongono, come l’involucro e lo spazio che la contiene, il materiale di cui è composta, la forma naturalmente e la luce che la rivela. Infine penso ad ogni elemento che la compone come ad un oggetto estraibile dal contesto, realizzato e pensato per far parte di esso, ma dotato di un equilibrio strutturale proprio e indipendente. Nelle mie ultime istallazioni , le stanze occupate dalle sculture non hanno mai funzionato da contenitori, ma per me erano il quadro stesso. Una nuova visione composta da infiniti elementi ( quadri, sculture, la stanza stessa o il cortile di un palazzo) immaginati come pixel dilatati che si ricompongono in una visione ambientale che invita il visitatore ad abitare un luogo e non a contemplare un quadro, ancor meglio poi se l’effetto ottenuto spinge la contemplazione verso un ricordo. Il dipinto mimetizzato fra le altre parti che compongono la struttura, diventa al contempo frammento e sostanza funzionale all’intera visione, come se dalla pittura stessa scaturisse l’urgenza di invadere lo spazio che l’accoglie. Ma anche molta della storia dell’arte recente sembra raccontarci dello sforzo di staccare il quadro dalle pareti ( Pollock) , di liberarlo dal suo perimetro per lasciare che la composizione invadesse lo spazio circostante fino ad arricchirlo di nuovi elementi recuperati dalla quotidianità (Rauschenberg) e infine a smontarlo e a negarlo oggettivamente per restiturci soltanto l’idea che l’ha generato . Ma questo non è il ritorno alla sua origine? La forza della pittura è contenuta tutta nella sua potenza virtuale di replicare un idea di realtà ed oggi ancor più poi se rapportata all’invadenza e alla velocità dell’immagine digitale. L’errore forse sta nel considerare questo confronto uno scontro, anziché comprendere che è un valore nuovo nella scala della realtà virtuale, perché comunque non della realtà abbiamo bisogno, ma di una via di fuga.
in Immagini, forme e natura delle Alpi, Electa, 2007 catalogo della mostra